Sant'Anna e i Lupi - Tauriano - Il Paese, la Storia, le News e la sua gente

Vai ai contenuti
Sant’anna e i lupi a tauriano Spilimberc, XCiX Congrès, Spilimberc, ai 2 di otubar dal 2022, par cure di Gianni Colledani e Marco Attilio Salvadori, udine, Società Filologica Friulana, 2022. iSBn 978-88-7636-381-8

Sant’anna e i lupi a Tauriano
di Alessandro Fadelli
A chi entra nella chiesetta di San Nicolò a Tauriano non sfugge di certo un curioso affresco raffigurante la Madonna col Bambino, sant’Anna, madre della Vergine, e un lupo. Il frescante è ignoto, si tratta di una mano discreta ma non certo straordinaria. Una lunga iscrizione ci informa che l’opera fu portata a termine nel settembre del 1627 dal Comune di Tauriano affinché sant’Anna proteggesse «le creature dalli lupi», e questo mentre era rettore don Domenico Brandolini, podestà Antonio de Cristoforo e zuradi (giurati) Domenico Molinaro e Zuanne Masaruto.

La cosa, per noi del XXI secolo, suona strana, ma per i nostri antenati di quattrocento anni fa no, il pericolo evocato era terribilmente reale. Nel passato infatti i lupi non erano solo protagonisti di fiabe, leggende o storie edificanti, ma una presenza concreta e vicina1.La data dell’affresco, 1627, ci riporta a un periodo, quella quindicina d’anni o poco più che arriva fino al 1635, davvero tremendo per le genti friulane, e non solo per quelle, contrassegnato da guerre, squilibri climatici, carestie e peste, ben delineato da Manzoni nei Promessi sposi.
Come si sa, le disgrazie vengono spesso a grappolo, una prepara o aggrava l’altra, e alle sventure già in corso o in arrivo si aggiunse in quel torno di tempo pure quella dei lupi, che fino ad allora non avevano dato particolari segni di pericolosità per gli umani, salvo qualche aggressione (e uccisione) nella prima metà del secolo precedente.
In quel periodo qualcosa però evidentemente cambiò nel comportamento di questo animale, forse per le avverse condizioni climatiche, per la mancanza delle prede consuete (piccoli mammiferi, cervi e altri ungulati) oppure per la maggior debolezza e la minor vigilanza degli umani, alle prese, come s’è detto, con altri e grossi problemi2. I lupi scesero così dalle montagne e uscirono dai boschi planiziali nei quali abitualmente trovavano rifugio e prede per avvicinarsi ai centri abitati, in cerca di pecore e altri animali domestici, ma talora, affamati e forse anche colpiti dalla rabbia che li rendeva incontrollati e aggressivi, assaltavano e divoravano persone, anche se la carne umana pare non essere tra quelle preferite dai lupi.
Le segnalazioni di persone uccise e straziate dai famelici canidi selvatici in quegli anni si infittiscono in maniera impressionante, soprattutto in pianura, da San Quirino a Zoppola, da Vigonovo a Bagnarola, da Pasiano a San Giovanni di Casarsa, da Cordenons a Provesano; solo la scarsità di indagini storiche approfondite e l’assenza per certe parrocchie dei registri dei morti riferiti a quel periodo ci impediscono di averne50 un quadro più dettagliato. Vari casi avvennero anche a Spilimbergo, dove già nel luglio del 1621 un bambino fu divorato nei pressi della chiesa di San Girolamo, sulle grave del Tagliamento, tanto che se ne trovarono soltanto il sangue e alcune ossa della testa. Nel 1623 ci furono altri due morti per attacchi di lupi, un quindicenne in aprile e un dodicenne in giugno, quest’ultimo proprio di Tauriano, nella zona verso il Cosa. Due nuovi casi si verificarono nel giugno del 1625 (una ragazza sbranata in un bosco prope Spilimbergium) e nell’agosto del 1627 (un bambino di sette anni); a Barbeano poi, tra il 1622 e il 1627, i morti furono addirittura sei3.
Come si nota negli esempi spilimberghesi appena citati, e come si riscontra nella restante documentazione friulana dell’epoca, erano i più giovani, bambini o ragazzi, meno forti e rapidi a fuggire, e talora anche le donne, a dover subire gli assalti dei lupi, sia singoli che, più spesso, riuniti in branchi; ma non mancano nei documenti pure alcuni sfortunati maschi adulti sopraffatti dagli assalitori. Più a rischio erano le persone sole e lontane dall’abitato, come i pastori, tra i quali di frequente figuravano appunto bambini o giovinetti mandati a pascolare oche o pecore. Che poi gli aggressori fossero sempre e soltanto lupi, magari affetti da rabbia, come già detto, o non piuttosto animali ibridatisi con i cani domestici, come talvolta può accadere, oppure cani rinselvatichiti, è una faccenda ancora discussa e non facilmente risolvibile.Impressionanti erano di certo gli ultimi momenti di vita degli sfortunati aggrediti, con i vani tentativi di fuga o di difesa e le urla disperate, a volte udite dalla gente, e ancor di più le condizioni nelle quali venivano trovate le vittime, delle quali restavano spesso solo parti smembrate del corpo (la testa, un braccio, qualche osso), con grande impatto nel sentire popolare.
Che non si trattasse di esagerazioni o di isteria collettiva, come ha sospettato – a torto – qualcuno, lo comprova, oltre al numero delle uccisioni registrate, pure la preoccupazione per il fenomeno da parte di chi stava più in alto nelle gerarchie sociali e amministrative. Nel 1630 Bernardo Polani, luogotenente veneziano in Friuli, scriveva per esempio ai suoi superiori che i lupi avevano «in varij luochi in particolare di qua dal Tagliamento destrutte, et devorate molte centinaia di persone», e due anni dopo il suo collega Girolamo Venier comunicava a Venezia che il Friuli era «grandemente travagliato dall’insidiosa rapacità de lupi, che lasciando gl’anemali sciusi ne pascoli, miseramente divorano le creature, che le assistono, o per loro disaventura si trovano in campagna».
La reazione al crescente pericolo fu massiccia: si organizzarono cacce di gruppo con armi da taglio e archibugi, si posero esche e tagliole, si scavarono fosse ben mascherate per catturare gli animali (con il rischio però di creare problemi agli ignari animali domestici e anche agli uomini!), si addestrarono cani, forniti a volte di collari metallici protettivi con punte e chiodi, e si intensificò la sorveglianza, cercando di lasciare il meno possibile donne, bambini e ragazzi da soli nei boschi o in aperta campagna. C’erano poi altre forme di difesa meno concrete, che si rifacevano alla fede, come i preenti, una sorta di scongiuri che avrebbero dovuto tener lontani i lupi da greggi e persone attraverso l’invocazione a Dio, alla Madonna e ad alcuni santi: ma la pratica non era permessa dalla Chiesa, che vi scorgeva anzi una pericolosa superstizione sconfinante nell’eresia, e dunque la perseguiva, seppur blandamente, attraverso il Santo Ufficio dell’Inquisizione per eradicarla, come testimoniano vari processi a partire dal ’500 fino al 1666. Forme di difesa invece concesse erano gli ex voto, singoli o individuali, le preghiere, le messe e le processioni, come quella che ancora nel 1661 si portava il giorno di san Francesco da Montereale alla chiesa di Grizzo per l’adempimento di un voto fatto anni prima «per occasione che li luppi devoravano le persone»4.Dopo il periodo tra il 1621 e il 1635, sicuramente il peggiore per questa minaccia, le aggressioni ad esseri umani in Friuli, anche nel suo settore più occidentale, diminuirono grandemente, pur senza sparire del tutto. Soggetti a una caccia spietata da parte degli uomini, che intanto modificavano e sopprimevano con una pressante antropizzazione gli spazi tipici del loro habitat, i lupi già nel ’700 cominciarono a diradarsi un po’ dappertutto. Erano comunque presenti ancora nella prima metà dell’800, sospinti nelle zone montane e pedemontane (distretto di Maniago, Valcellina, zona a nord di Spilimbergo, come riferiva anche il Pognici nel 1872, che li definiva assai rari), ma con qualche sporadico avvistamento in pianura, per esempio ad Azzano Decimo, a Fontanafredda e a Morsano.
Un lupo seminava morte, ma solo fra le pecore, tra Budoia e Polcenigo ancora nel 1868, ma tra la fine del secolo e i primissimi del ’900 era del tutto scomparso l’ululato che terrorizzava i Friulani del passato, e il terribile predatore appariva ormai soltanto nei proverbi, nei modi di dire e nella narrativa popolare orale. Salvo ritornare, imprevedibilmente, nel XXI secolo, prima in maniera quasi inavvertita, poi con clamore e crescente preoccupazione, in buona parte ingiustificata, a ricordarci la forza incontrollabile della Natura5. Ampie tracce dell’antica presenza del lupo erano comunque rimaste nell’onomastica, nei soprannomi di persona e nei blasoni popolari (‘lupi’ erano detti per esempio gli abitanti di Ranzano), ma soprattutto nella toponimia, tanto da farne uno degli animali più presenti nei nomi di luogo6.Restando al solo Friuli Occidentale, assai diffuso era per esempio Lovera/Lovara/Lovaria (o, al plurale, Lovere), che poteva stare a indicare sia la tana del lupo, sia, più spesso, le buche apprestate per catturarlo: il toponimo si trova da Caneva (Bus delle lovere) ad Arzene (Crosara da li’ lovaris), da Vito d’Asio (Lovaria) a Fiume Veneto (Lovere) e in almeno un’altra decina di luoghi; anche a Spilimbergo c’era una Lovara (o Lovariis). Ci sono vari altri nomi di luogo correlati al pericoloso animale, come – sempre esemplificando – Val del lovo a Vigonovo, Lovarezza a Budoia, Agar de lovi a Pinzano, Troi dal louf ad Andreis, Cjol dal louf e Monte Lupo (o Lovo, o Liovo) a Barcis, Cjase dal lof e Lovo a Morsano al Tagliamento. Non sempre questi toponimi, alcuni attestati già alla fine del ’400, si rifanno però direttamente al canide, dato che possono aver tratto origine da altri elementi (onomastici o botanici, per esempio), ma di sicuro molti ne certificano la presenza, stabile oppure eccezionale che fosse, tanto da indurre la gente a battezzare così un dato luogo.


Affresco nella parrocchiale di Tauriano
Tornando all’affresco di Tauriano, può stupire l’invocazione a sant’Anna per la protezione dai lupi: dalle nostre parti, i santi più indicati a tale scopo erano senz’altro Francesco (a motivo del celebre episodio con la belva di Gubbio) e il biblico Daniele (che aveva avuto anch’egli a che fare con belve feroci). Nella chiesa di Grizzo, per esempio, l’Alborelli dipingeva più o meno negli stessi anni il santo umbro che stringeva la zampa di un lupo accovacciato e ammansito (quello eugubino), mentre a Malnisio il san Daniele dipinto da Gasparo Narvesa aveva il medesimo scopo protettivo. In altre zone d’Italia invece contro il pericoloso canide selvatico si ricorreva a san Defendente (il cui nome era tutto un programma!), a santa Chiara (per il suo strettissimo rapporto con Francesco), a san Bellino, vescovo padovano che proteggeva anche dai morsi dei cani idrofobi, a sant’Ignazio di Loyola, a san Guglielmo da Vercelli, a san Pietro di Trevi, al beato Agostino Novello e ad altri intermediari celesti.

Sant’Anna non era dunque tra i santi ad hoc: la sua protezione infatti, come genitrice della Madonna, si estendeva soprattutto sulle madri di famiglia, sulle partorienti (era particolarmente invocata nei parti difficili) e sulle puerpere, ma anche su lavandaie, sarte, ricamatrici, fabbricanti di calze e guanti, orefici, falegnami, minatori, e pure per la cosiddetta ‘buona morte’.

Il richiamo a lei operato nell’affresco di Tauriano stava forse nella sua intercessione presso la Vergine; oppure, con maggior probabilità, si era ricorsi a una figura materna per la protezione delle creature, cioè di quei bambini e ragazzi che, come s’è detto, erano spesso le vittime più facili dei lupi antropofagi. D’altronde, a Tesis di Vivaro, sul muro di una casa privata, un pittore – lo stesso di Tauriano? – aveva affrescato sempre nel 1627, ma in luglio anziché in settembre, il provvidenziale intervento di quattro santi (Francesco, Ignazio di Loyola, Osvaldo e proprio Anna) che avevano miracolosamente salvato un piccolo rapito da un lupo: lui ce l’aveva fatta a scappare dalle feroci zanne, ma tanti altri purtroppo no.

BibliografiaBasso, F./Nadalin, G./Valenti, R., Il ritorno del lupo. La convivenza con l’uomo nel Friuli Venezia Giulia, Trieste 2022.Begotti, P.C., Friuli terra di lupi. Natura, storia e cultura, Spilimbergo 2006.Begotti, P.C., Transumanze. A proposito di lupi, greggi e toponimi, «Atti dell’Accademia ‘San Marco’ di Pordenone» 16 (2014), pp. 875-904.Begotti, P.C., Il lupo nella toponomastica europea occidentale, in Caffarelli, E./Finco, F. (a cura di), Atti del Terzo Convegno di Toponomastica Friulana (Gorizia/Nova Gorica, 7 - 9 novembre 2019), Udine 2021, pp. 21-38.Canetti, L./Cilli, E./Montanari, A.A. (a cura di), Uomini e lupi. Genetica, antropologia e storia, Bologna 2021.Cherubini, G., L’Italia rurale del Basso Medioevo, Roma-Bari 1985.Colledani, G., Libera nos a lupis, «Il Barbacian» 42 (2005), n. 1, pp. 9-10.Colledani, G., Lupi, cani e fabbri ferrai, «Il Barbacian» 45 (2008), n. 1, pp. 38-39.Comincini, M. (a cura di), L’uomo e la ‘bestia antropofaga’. Storia del lupo nell’Italia settentrionale dal XV al XIX secolo, Milano 2002.De Antoni, A., Lo sguardo del lupo. Tre tappe nella storia dell’Europa, «Atti dell’Accademia ‘San Marco’ di Pordenone» 23 (2021), pp. 147-226.Dentesano, E., I predatori nei nomi di luogo del Friuli. Alcune considerazioni su lupi, volpi, orsi e linci, in Sguazzero,S. (a cura di), La toponomastica locale. Atti dei convegni di Branco (2003-2005), Udine 2005, pp. 135-156.Fadelli, A., C’era una volta… il lupo, «Il Barbacian» 31 (1994), n. 1, pp. 9-12.Luchini, L., Lupi, peste e fame nella prima metà del Seicento nel Friuli Occidentale, «Sot la Nape» 59 (2007), n. 3, pp. 29-32.Ortalli, G., Lupi genti culture. Uomo e ambiente nel medioevo, Torino 1997.Pastoureau, M., Il lupo. Una storia culturale, Firenze 2018.Pecorella, S., Il ritorno del lupo in Friuli, «Il Barbacian» 52 (2015), n. 1, pp. 5-8.Peressini, R., Morti violente e accidentali, «Il Barbacian» 41 (2004), n. 1, pp. 86-90.Petris, N./Giacomello, E., Il lupo in Zoppola e dintorni, «Quaderni Zoppolani» 13 (2015), pp. 5-71.Pognici, L., Guida Spilimbergo e suo distretto. Memorie, Pordenone 1872.Rao, R., Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso, Torino 2018.Zovi, D., Lupi e uomini. Il grande predatore è tornato, Crocetta del Montello 2012.Zucchiatti, V., Attenti al lupo. I ricordi del predatore nella toponomastica del Friuli morenico, in Caffarelli, E./Finco, F. (a cura di), Atti del Terzo Convegno di Toponomastica Friulana (Gorizia/Nova Gorica, 7 - 9 novembre 2019), Udine 2021, pp. 389-400.
note1 Nell’ampia bibliografia sui lupi nella storia e nella culturaitaliana ed europea segnaliamo soltanto, oltre agli ormaiclassici Cherubini 1985, pp. 195-214 e Ortalli 1997,i più recenti Comincini 2002, Pastoureau 2018, Rao2018, Canetti/Cilli/Montanari 2021 e De Antoni2021.2 Sui lupi in Friuli esiste un’ampia e sparsa bibliografia, all’interno della quale si vedano almeno Fadelli 1994, Begotti2006, Luchini 2007, Begotti 2014, Petris/Giacomello2015, Begotti 2021 e Zucchiatti 2021, comprensivi dellaproduzione precedente, anche degli stessi autori.3 Sulla presenza dei lupi nello Spilimberghese, oltre ai testi già citati nella nota 2, cfr. anche Peressini 2004, Colledani 2005 e Colledani 2008.4 Udine, Archivio Storico della Curia Arcivescovile, Diocesi di Concordia, b. 314.5 Sulla ricomparsa del lupo nel nord Italia, e in particolare nel Friuli, cfr. Zovi 2012, Pecorella 2015 e Basso/ Nadalin/Valenti 2022.6 Sui toponimi connessi ai lupi attingiamo da Dentesano 2005, Begotti 2006, Begotti 2021 e Zucchiatti 2021, con qualche minima integrazione dello scrivente.
Copyright 2008-2021 Tauriano.com - Sito non ufficiale del paese di Tauriano di Spilimbergo
WebMaster Raffaele Tomasella
Torna ai contenuti