Diario di una giovane taurianese nel periodo della Grande guerra - Tauriano - Il Paese, la Storia, le News e la sua gente

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La Redazione Ringrazia per questo contributo storico il nipote Ezio Lenarduzzi che ha il diario originale e la signora Marinella Cimatoribus che ha trascritto il diario stesso.

La signora Regina Cristofoli in Indri (1902 1994) conosciuta ai più come Regina Pica ha raccolto in questo diario ben 40 anni dopo i ricordi di vita durante la Prima Guerra Mondiale (1915-18).

Il materiale qui riprodotto è stato esposto presso "La Garitta" in occasione della "Brovada e MUset" con il tema "Tauriano e Taurianesi nella Grande Guerra" il 21 ottobre 2018. In seguito ha contribuito a parte della mostra per i 100 anni dalla carica di cavalleria dei Cavalleggeri di Saluzzo allestita presso la Soc. Operaia dall'Ass. arma di Cavalleria di Pordenone. Infine parte del materiale è stato pubblicato sul "Barbacian" di agosto 2019.

La particolarità del diario è la incredibile coincidenza dei luoghi e dei tempi della vita della giovinetta Regina con la STORIA PATRIA.

  • Vittorio Veneto Villa Morosini nell'inverno 1917 sede del Comando Generale delle Trupppe Germaniche
  • Tauriano 2 novembre: Incontro con le avanguardie italiane


IL testo è stato espressamente lasciato anche con gli errori di grammatica e l'uso di termini non proprio italiani mapur sempre comprensibili ai più.

Tauriano Saluti Panorama

Non era nel tempo della scuola solo lo studio, bensì lavorare, portare l'acqua per noi e per le bestie, pulire la stalla andare nei campi. Anche gl'esami di promozione della terza, perché a quei tempi in paese non erano più classi, e non c'era comodità com'ora d'andare a Spilimbergo e poi non c'era i mezzi di oggi per proseguire con gli studi, anche qui sono stata promossa con un dieci in condotta e nelle materie nove e otto.

Dopo finito la scuola la mamma mi mandò un pò di tempo a cucire da una sarta a Istrago, si doveva fare la strada a piedi, io e Luigia Cristofoli si portava il pranzo appresso che poi se lo scaldava per non fare la strada a piedi due volte al giorno; lì ho imparato poco, ma mi ha aiutato a fare le cose semplici da sola, poi mi sono stancata e sono rimasta a lavorare la terra che la facevo con tanto amore perché mi piaceva la natura la vita libera e spensierata dei campi e dei prati.

Inizio della Grande Guerra

Poi venne la guerra dal 1914 fino il 1918, cosichè dovettero rimpatriare tutti quelli che erano all'estero, fu una cosa terribile, s'attendeva con ansia tutti i nostri cari, arrivò il papa e i zii questi ultimi dovettero lasciare in Germania tutti i suoi mobili e vestiari e rimpatriare con una valigia; fu allora un periodo duro, il zio dovette andare militare, come tutti del paese, solo il papa ch'era inabile al servizio militare e qualcuno più vecchio di lui; il paese aveva bisogno di manodopera per lavorare la terra, così si cercò di mettersi in compagnia per aiutare le famiglie che avevano i loro cari al servizio militare; a quei tempi non c'erano macchine agricole, si doveva lavorare con le bestie, se ne aveva sei sotto l'aratro; io e un altro se le guidava e mio papa teneva l'aratro, poi c'era il fieno da fare, lui assieme ad altri uomini che avevano formato una compagnia falciavano e noi donne si rastrellava e poi toccava a me esser sul carro a caricare il fieno, carri grandi che dalle volte non passavano per la strada, ma io ero orgogliosa a saperlo fare, non tutti erano capaci, poi era il verderame, di dare alle viti non c'era altro mezzo che il zaino in spalla e andare nel campo con quel peso, poi il resto del lavoro che richiede la campagna si doveva farlo noi donne.

Ero allora fatta signorinella, 15 anni e stanca di questa vita campestre ho voluto cambiare mestiere, una zia di mia zia Miuta a Vittorio Veneto cercava una raggazza per aiuto e compagnia, ma i miei non erano contenti e non volevano che fossi andata via perché lavoro si aveva anche a casa, ma qui ho disobbedito e me ne andai, partimmo io e Ida Pittana e la Mora "marchian", ad accompagnarci venne lei fino a Pordenone, andava dalla ziache costì aveva la zia moglie del capo stazione; mia zia Miuta, non dimenticherò mai questo distacco piangeva nel salutarmi, era questo l'ultimo saluto, sembrava lo sentisse perché non l'ho più vista, di giusta morte e parlerò più tardi.

Villa Conti Morosini



Arrivammo a Conegliano era Celestina ad attenderci così si chiamava questa signora che faceva la governante nella villa dei Conti Morosini a Vittorio Veneto, costì si cambiò treno e arrivammo a Vittorio Veneto.Un splendore di villa, un parco immenso basti dire che quei conti sopra la collina c'era la chiesa sua intitolata a S. Rosso, e sotto erano le tombe dei conti, più in basso c'era la pagoda, così la chiamavano, sembrava un ambiente cinese, da lì si vedeva quasi tutta Vittorio e la pianura veneta e i signori si facevano d'estate lì servire il caffè per ammirare la bella veduta, sotto poi era la ghiacciaia, perché a quei tempi non s'avvevano macchine per il ghiaccio bensì lo prendevano dai fossi che allora erano pieni d'acqua e si formava una spessa coltre di ghiaccio perché veniva tanto freddo; in giro di questa pagoda erano da una parte dei pineti d'altra piante da frutto e viti di ogni specie poi c'era la serra dei fiori con piante d'ogni specie, palme gigantesche; in parte di questo fabbricato la stalla per le vacche da latte per averlo sempre fresco per il bisogno della famiglia e del personale; fuori del recinto, perché la villa era recintata da un alto muro, abitava la Manetta "pollamera", così la chiamavano, perché allevava le bestie da cortile per il bisogno dei Conti che poi ne mandavano, quando andavano in villeggiatura nelle altre ville, ne avevano una a Panerolo(Perarolo?) in Cadore, una a Lucca in Toscana e un palazzo a Treviso e uno a Venezia, senza le campagne con le fattorie.

Da lì si passava nella serra dei ortaggi e nell'orto, lì c'erano i carcioffì, gli asparigi anche lì non mancava nulla, poi era la serra dei limoni i fiori mandavano un profumo delizioso; poi veniva il teatro, perché quando erano i Conti lì in villaggiatura, davano a quei signori la più gran parte veneziani che avevano le ville d'estate lì a Vittorio o nei dintorni, qualche spettacolo, perciò pensate la richezza di quei signori, di sotto il teatro era la lavanderia, l'acqua che correva sempre, perché per il beneficio della villa avevano una sorgente per conto proprio; di lì si veniva su nelle scuderie un fabbricato a forma di ferro di cavallo con di dietro un vasto piazzale, l'intero era composto della stalla per cavalli, ch'erano i pilastri con legno tornito, e il seralio per le cavalle che avevano d'avere il puledro e sopra il fienile, poi c'era l'atrio, dove li sotto attaccavano i cavalli alle carozze, di là dell'atrio c'era la rimessa delle carozze e dei finimenti che questi erano appesi dentro nelle vitrine; disopra avevano le camere i domestici quelli adetti al lavoro della villa cuochi, sguatteri, cocchieri, giardinieri, e il portiere che questo aveva la portineria nel medisimo fabbricato, che poi dopo sarebbe stato il cancello d'ingresso della villa, prima d'arrivarci su, perché la villa era in collina erano dei grandiosi giardini con delle belle fontane; questo in giro finora è l'esterno, entriamo nell'interno una bellissima scalinata con l'entrata ai lati due angioli che reggono un candelabro, si entra nell'atrio dove si procede nei saloni e nei scaloni che salgono al primo piano; qui l'atrio è ornato da due belle statue due mori intersiati sul legno, al centro del soffitto un bel lampadario; ai lati delle scale d'entrata il studio del conte e dall'altro la stanza di lavoro della contessa, faceva tanti lavori a maglia uncinetto e ricamo, lavorava tanto per i poveri, bisogna pensare che allora non erano tanti, ma alle undici suonava sempre una campanella e i poveri venivano a prendere la minestra; vicino a questa stanza era una grande sala da pranzo, con due lati e il soffitto di specchi e il resto con delle vetrate che si vedeva la bellissima piazza del Duomo, dall'altra parte della sala era la caffetteria così la chiamavano questa stanza con in giro delle vitrine racchiusi i servizi di piatti di bicchieri e di tassine tutto ciò che serve per le cerimonie, poi era la grande cucina con foccolaio ali'indietro, nel mezzo una grande cucina economica da una parte la rosticceria, alle pareti appesi tutti gl'utensili di rame una magnificenza.

Nell'altra parte dell'atrio erano i saloni da gioco e di musica con dei belizzimi affresci alle pareti, e da una parte e da l'altra, le porte in vetro che si vedeva il giardino. Sotto questi saloni erano la dispensa e la sala per i domestici. Al piano superiore alla sinistra era l'apartamento della vechia contessa con tre stanze il bagno e da un lato una belissima capella tutta tapesata in rosso. Alla destra l'apartamento dei giovani conti, con tre stanze per la contessa una camera da letto alla Luigi XV tutta tappesata in tela eguale al coprilletto sedie e ginocchiatoio sopra il letto due angioletti che reggevano la corona e un velo nella testata abbasso del letto nel mezzo era il monogramma Annina e Carlo Morosini intrecciato, poi era la stanza rossa il ritrovo così lo chiamavano, anche questo tappesata in tela con un divano a righe bianche e rosse come la tappeseria, poi il gabinetto e il bagno; in ultimo la camera da letto del conte, di noce antico, questa stanza aveva anche l'entrata da un ponticello che portava alla riva e da li poteva uscire e entrare senza passare per la porta centrale, poiché da quella parte era anche una porta laterale era un grande donnaiolo che li piaceva divertirsi.
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Il secondo piano era per gl'ospiti e al terzo la soffitta e le camere per la servitù con tutto questo ben di Dio, andarono a finire in miseria, la vecchia contessa morì in un manicomio i giovani conti si separarono, lei tornò nel palazzo a Venezia e prese di nuovo il nome di contessa Rombo, era una bellissima donna, che veniva anche l'Imperatore Guglielmo di Germania a trovarla , il conte aveva una donna a Parigi fece vitalizio con i Signori Concatti di Luca, per non morir di fame da questa unione avevano una figlia che aveva sposato un amiralio li avevano dato per dote il palazzo di Treviso.

Ora parlerò di nuovo di me la Signora a qui pensavo si avesse cura di me non era una persona modello, orgogliosa e ingorda aveva con sé la nipotina che si chiamava come la Celeste, io non ero pratica delle sue usanze, dovevo chiedere i primi tempi come devo lavorare, e quando avevo fatto il mio lavoro, le chiedevo ed ora cosa posso fare mi rispondeva, "prendi la porta e menela finché la suna”, erano parole che mi andavano al cuore; lo sai bene cosa devi fare.

DISFATTA di CAPORETTO

Generale Otto_von_Below - Comandante Generale Truppe Germaniche

Erano pochi giorni che mi trovava costi, si sente a dire, che è la disfatta di Caporetto, le nostre truppe si ritirano, in Villa c'erano dei dottori militari, perché nel teatro avevano fatto un ospedale per i feriti alla testa; e ospedale era anche in Seminario che si trovava nella piazza del Duomo, in quei giorni era un andare e venire che faceva spavento, e i preparativi per il trasporto dei feriti. Una sera si sentì a batter alla porta e chiamare mamma era la nuora Elvira e il nipotino Ugo, scappati con speranza di trovare li un buon rifugio, una confusione che si sentiva da per tutto e il cannone che si sentiva vicino a tuonare, un altro mio particolare, aveva messo a cuocere i faggioli con un codeghino, mi mandò in pignatta a prenderlo e non lo trovai, castrona mi disse non trovi nemmeno sassi in una cava tu: ebbene li risposi venga lei a trovarli, rimase anche lei a bocca aperta perché non lo trovò, ma appesa sopra la cuciniera era una mestola sporca, l'avvevano rubato, le ordinanze dei ufficiali che passavano sempre di lì, erano in quei giorni senza mangiare e hanno profittato.

Viene la volta che partono tutti un ufficiale medico li dice: Signora se vuoi partire anche lei cè un camion a sua disposizione, li rispose nò non parto, mi vergogno a essere italiana; lindomani arrivarono i tedesci, le botteghe erano sacchegiate dai civili così entravano nelle case e prendevano quello che trovavano portarono via tutte le galline, e si aveva anche delle anitre, una era in padella e anche questa gl'ufficiali l'hanno voluta avere, però l'hanno pagata, questi poi ch'erano i avamposti ci obbligarono di preparare la camera, sì, stava preparando che arriva il comando, un ufficiale con un monoccolo, mi aveva chiusa in camera, fortuna che codesta stanza aveva un'altra via d'uscita che lui non s'era accorto e potei uscire ilesa, ma ebbi paura e li dissi alla Signora ch'io non vado più nella camera e li raccontai il fatto, allora mi mandò da una signora li vicino che essa aveva avuto durante la notte dei soldati che le avevano buttato sottosopra la casa; alla notte si si era ritirate tutti nel salone si aveva messi per terra dei materazzi perché li in villa erano venute anche le cinque sorelle Amadio che anche loro, sono state derubate e hanno preso tanta paura essendo li il comando, pensaro d'esser più al sicuro, in fin tanto che i militari di truppa li aveva passata la sbornia, poiché li nel Friuli e nel Veneto, avevano trovato il ben di Dio che poi s'erano anche ammalati, poiché loro erano pieni di fame, dal salone ci fecero andare all'ultimo piano, lassù ci dettero due stanze e una stanzetta dove si mangiava e si faceva di mangiare sui fornelli dove scaldavano i ferri da stiro le cameriere.

Generale Otto_von_Below - Comandante Generale Truppe Germaniche

Nel 1917 questa villa, eretta nel 1852 da Girolamo Costantini e caratterizzata dall'ampio parco romantico che si distende sulla collina retrostante, era proprietà dei Morosini, nobile famiglia veneziana.
Il complesso è noto però come Villa Papadopoli, dal nome di un'altra famiglia veneziana, ma di origine greca, che l'acquistò nel 1919 realizzandovi importanti ampliamenti.

Quando l'8 novembre 1917 l'esercito tedesco raggiunse la città, questa Villa Veneta che domina sulla piazza di Ceneda venne scelta per collocarvi la Sede del Comando Supremo Tedesco.
In queste stanze, fino al 22 gennaio 1918, risiedette l'Alto Comandante della 14a Armata austro-tedesca, Generale Otto Von Below: era l'eroe di Caporetto.

Da queste stanze Von Below assistette però all'inattesa reazione dell' Esercito Italiano che, al di là del Piave, seppe resistere e combattere la Battaglia d'Arresto

Si era rimasti senz'acqua perché col passare sopra le tubature i cannoni le avevano rotte perciò l'acqua non arrivava al secondo piano e mi toccava prenderla da basso in cucina, questo era mio lavoro com'era mio lavoro portarle le legna, queste me le procurava Moret, un vecchio giardiniere, nella serra dei fiori era caduta il primo dell'Anno una bomba, e aveva distrutto tutto, è stata una triste giornata, quattro bombe erano cadute sopra Vittorio Veneto s'era appena sortiti dalla S. Messa, e s'era andati in casa d'una amica della Sig Celeste, Sig. Brunetta a vedere di poter recuperare qualche cosa dei mobili, perché lei era scappata, che sentimmo la sirena e le bombe a cadere fu tuttuno, avevano preso di mira i comandi siamo precipitati abbasso ma i militari non ci lasciarono sortire quando entrammo in Villa era un disastro, tutti i vetri infranti, Elvira tutta bianca per la paura presa, con in braccio il piccolo Ugo che piangeva, una vera desolazione; da quelle mensole nella serra rotta si ricavava legna d'arder, che come dissi sopra Moret me le procurava, ansi un giorno approfìtando ch'ero sola un nostro soldato Italiano ch'era prigioniero e faceva il cameriere per i tedeschi alla mensa ufficiali, si chiamava Ferdinando, mi voleva violare, io li diedi uno spintone e lo buttai abbasso delle scale, e li dissi: mereteresti il concentramento, purtroppo andando via i tedeschi dovette andare, mi ha anche dispiaciuto, un altro brutto episodio, mi sarebbe avvenuto se non avessi avuto buon sentimento; il macellaio ammasava bestie per la mensa nella lavanderia, voleva darmi un polmone, per noi era buono che non s'aveva nulla da mangiare che quel poco di tessera ma voleva che fossi andata alle sette di sera era scuro e era distante dalla villa e si mi avesse fatto qualche cosa, nessuno mi avrebbe sentito a gridare li dissi alla Signora, che io sola non vado, porta con té la piccola nò le dissi, cosa credi di esser mi disse e venne coi pugni verso di me, sarò quel che sono, ma voglio una persona grande venne la Signorina Assunta ma come avevo pensato era vero, lui voleva qualche cosa da me, li aveva detto alla Signorina Assunta che rimanesse di sopra altrimenti non mi dava niente, e se avessi avuto bisogno l'avrei chiamata mi prese per le mani per attirarmi a se, allora mi svincolai, e arrivai a sortire e chiamai la signorina lui mi prese per le spalle, ripetei il richiamo e la Signorina rispose, allora mi lasciò ma avevo avuto paura, che quando arrivammo in casa e la signorina raccontò l'accaduto, Celeste disse: aveva ragione ma se non fosse stato il mio giudizio sarei andata a finirla male, pregavo sempre il Signore che m'aiutasse a uscire illesa di quei tristi giorni pieni di spaventi e di fame, mangiavo la crosta della polenta dopo aver messo l'acqua per stacarla, frutta acerbi, e radicchio senza lavare sulle aiuole.


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Lasciapassare Tedesco per uscire dalla Villa Morosini 12 dicembre 1917

Avevo conosciuto costì un signore di S. Giorgio della Richinvelda ch'era venuto a Vittorio per ordinare il seme dei bachi da seta è rimasto anche lui senza via di ritorno nei giorni della ritirata ma dopo qualche mese potè ritornare a casa, li chiesi se per piacere andasse a casa mia a dirle che mi trovavo a Vittorio, da li passano i profughi che andavano al loro paese sul Piave, a vedere se potevano trovare ancora qualche cosa della loro roba, da loro ricevetti una lettera della mamma che mi disse: se non ero contenta veniva a prendermi, le risposi ch'ero contenta, ma che speravo che finisse questa guerra e da rivedersi ancora per fortuna che non dissi niente di com'ero trattata perché l'Elvira ha voluto leggere ciò che avevo scritto, ma la Signorina che mi portava la lettera alla mamma, mi chiese se sarei contenta tornare a casa non potei dire ne si ne no, perché erano tutte due a guardarmi, però questa signorina intuì qualche cosa e quella notte non potè dormire, ha avuto il presentimento che non ero contenta e al mattino lo disse alla mamma e mi mando a prendere in questo fra tempo preghai S. Antonio e li dissi se per domenica mi vengono a prendere i primi soldi che ho te li dò per il pane dei poveri.

A Tauriano occupato dal nemico
soldati ungheresi dietro albergo -- Somsi tauriano
soldati ungheresi dietro albergo

Era il sabato passavo davanti al Duomo e entrai e mi misi davanti al Santo e li dissi: devo essere cattiva che non mi dai sta grazia e mi misi a piangere, veramente la grazia me la fece, trovai a casa mia zia Manetta e mia sorella ch'erano venute a prendermi un certo che ha Celestina e alla Elvira non le andava bene ch'io fossi partita, perché le procuravo come dissi prima acqua legna e dovevo star delle ore a far la fila per prendere qualche cosa da mangiare con la tessera-quella sera arrivammo a Vigonovo naturalmente si partì a piedi- si trovò d'andare a dormire su un fienile, ma fieno non cenerà- si siamo sdraiate sulle canne di granturco, ma di dormire no era il caso, anche perché sul Piave era una grande battaglia, l'artiglieria sparava con i cannoni, riposo non si ha avuto, lindomani si parte, ma abbiamo dovuto fermarsi a Vivaro fino le due perché i tedeschi, facevano le prove di tiro sul Meduna, appena si passò il Meduna, che potei vedere il mio Tauriano mi misi a piangere dalla gioia e ringraziai la Madonna dell'Ancona che mi ha dato questa grazia: a casa ci aspettavano era la cucina piena di gente tutti volevano vedermi, mi diedero da bere una scodella di latte, era otto mesi che non bevevo, tutti si misero a piangere a vedermi a bere, avevo 16 anni pesavo solo 48 chili erano pochi per la mia grandezza: da giugno fino al ritorno degli italiani fu una vita tormentata solo il pensare quello che poteva succedere; ci dicevano i austriaci che se dovevano ritirarsi ci bruciavano le case, gl'ultimi giorni furono terribili essendo che io parlavo tedesco, avevo fatto conoscenza con un soldato austriaco, una cara persona deve esser stato benestante, era anche sempre ben vestito, dormivo da Filomena Tusuta, una domenica di ritorno dai vesperi me lo vedo comparire dentro il cortile, parla col nonno che mangiava una pannocchia, la offerse a questo militare, io non mi feci vedere, l'indomani, venne Filomena e mi disse: viso di madonna -cosa dite, è un militare austriaco di Vienna che dorme da me è venuto a casa ieri sera e mi raccontò che ha visto una ragazza che ha il viso da madonna, sei solo tu questa.

Regina e ufficiale Ernesto

Non potevo credere, non ero brutta ma non da somigliare alla madonna; ritornò questo militare si chiamava Ernesto sovente a trovarci essendo che io parlavo anche tedesco era anche gentile disse che vuole da noi una fotografia della famiglia eravamo la nonna la mamma, mia sorella e mia figlioccia Maria Mirolo ancora bambina con la bambola in braccio, ma poi lui si mise al mio fianco che questo non l'aspettavo, ad ogni modo riuscì bene, fu anche un caro ricordo, perché dopo dovette partire per il fronte, ci baciò tutti piangeva; mi arrivò di lui una lettera, ma più della metà era cancelata di nero, cioè passò sotto censura, da allora non ebbi più notizie.

ARRIVA il SALUZZO!!


Passarono pochi mesi che gl'italiani vennero a liberarci, era il 2 Novembre, in quella notte è stata la ritirata, e ci portarono via anche quel poco che si aveva, mio nonno, assieme al nipote Emilio Cristofoli portarono le mucche nei campi a nasconderle nel fosso lassù della braida di Culota, alla mattina dopo ch'erano partiti gl'austriaci, stavo andando a portare l'acqua da bere alle mucche, che vidi venire due soldati a cavallo conobbi subito ch'erano italiani e mi chiesero se sono ancora soldati austriaci in paese li assicurai ch'erano partiti, questa domanda l'avevano fatta al nonno, ma lui non sapeva nulla dato che tutta la notte è stato nei campi, ed è stata una fortuna perché quasi tutte le vacche rimaste in quella notte le portarono via, perciò noi si aveva ancora un pò di latte, dalla contentezza io ritornai indietro con questi due soldati, chiamai tutti gli abitanti nelle prime case che tutti contenti esciavano viva l'Italia e abbracciano questi militari, ma loro dicevano non gridate perché possiamo avere un'imboscata, come purtroppo fuori del paese è stata, gl'austriaci erano nascosti dietro a un campo di grano con le mitragliatrici, e uccisero 5 italiani, cioè un capitano, un sergente, un apuntato e due militari, tutti bei giovani del regimento Saluzzo, furono anche tanti feriti che furono portati nella casa dei suoceri Indri in piazza, era anche un capitano mi dissero: io ancora non ero sposata questo capitano venne dopo diversi anni a trovarci e riconobbe tutti, è stato contento come contenti eravamo noi.

Dopo l'armistizio ritornò un pò di calma in paese, ritornò la gente ch'era evacuata giù per l'Italia, ritornarono i soldati rimasti, stati al fronte purtroppo molti non ritornarono più, furono giorni di gioia e di tristezza e anche di miseria finché non venne un po' di lavoro che i nostri uomini incominciarono ad emigrare.

Da noi manca... zia Miuta, morta il 18 maggio, morì per dispiacere, lei ch 'era stata in Germania non pensava che i tedeschi fossero così crudeli, purtroppo un uomo che è in guerra diventa una bestia, non solo della Germania, ma di tutte le nazioni, con di più la sua morte è stata anche in quel periodo la mancanza d'assistenza famigliare, per il zio fu grande il dolore a non trovarla più.


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