Le donne di Tauriano accusate di pubblica violenza - Tauriano - Il Paese, la Storia, le News e la sua gente

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GIORNALE DI UDINE - Politico – Quotidiano

Ufficiale pegli Atti giudiziari ed amministrativi della provincia del Friuli

Lunedì 23 Novembre 1868 Num. 279 – Anno III

CRONACA URBANA E PROVINCIALE E FATTI VARI

TRIBUNALE PROVINCIALE DI UDINE

Udienza del 21 Novembre 1868

Accusa di pubblica violenza

Uno stuolo di 14 donne ingombra tutto lo spazio destinato agli accusati. Esse sono contadine, artigiane, benestanti del luogo di Tauriano su quel di Spilimbergo: l’età varia dai 18 ai 40 anni : molte sono ricoperte di ori, di vezzi, di spilloni : due fra loro portano in collo i bambini lattanti, che di quando in quando aggiungono alle emozioni ed ai profumi dell’udienza una emozione ed un profumo in più.

Il dibattimento è presieduto dal Consigliere Gagliardi. Al banco del Ministero pubblico siede il procuratore di Stato, avvocato Casagrande. La difesa è sostenuta dagli avvocati Giuriati e Fabiani. Si dà lettura del conchiuso d’accusa, dal quale risulta che nella mattina dell’11 agosto 1867 un centinaio di donne all’incirca irrompevano a furia di spinte nel cortile della Canonica e poi nella casa stessa del parroco, vi asportavano tutte le mobilie che erano entro, collocavano in mezza alla piazza, e tutto ciò compivano in mezzo agli urli ed alle grida “ via di qua, fuori di qua!”. Il parroco e le due serve di lui, a quella sfuriata riparavano dapprima sul granaio, poscia ne uscivano tutti e tre, e framezzo al tumulto recavansi ad invocare il braccio forte dei Carabinieri, Le 14 accusate, sempre al dire dell’atto d’accusa, sono confesse di aver organizzato la dimostrazione contro il parroco perché a costui attribuivano di averle disonorate avendo fatto pubblicare in quella mattina stessa su tutte le case di Tauriano – meno le tre o quattro dei suoi partigiani – dei cartelli manoscritti, nei quali ogni femmina era accusata con parole oscenissime di mantenere relazioni col cappellano e alle donne dicevasi “che cavassero il fazzoletto onde asciugare le lagrime per la prossima partenza di questi.”

In seguito a questi fatti il Tribunale ha posto sotto accusa di pubblica violenza ai sensi dei art. 83-84 : Carlotta Martina fu Osvaldo, Cristofoli Della Rossa Rosa, Cristofoli Martina Anna, Maria Martina Indri, Anna Cristofoli Caminotti, Filomena Angela Antonia, Maria Martina, Marcolina Alberti, Domenica Zanin, Maria Zavagno, Iubella Catterina, Regina Martina.

Cinque sono i testimoni stati citati al dibattimento: Colussi Don Giacomo parroco, Pierina Cristofolo serva di lui, Teresa Zanin sua nipote, Antonio Indri detto "Fracasso", oste, Chiara Martina sua moglie.

Il Presidente procede all’interrogatorio delle accusate.
Qual più, qual meno, tutte sono fornite discretamente di lingua, e tutte nelle loro risposte dimostrano uno spirito di fratellanza e di solidarietà da augurarsi a certi generali l’indomani di una sconfitta. Colle loro risposte esse sostanzialmente raccontano che una violenta inimicizia erasi da qualche tempo sviluppata fra il parroco Don Colussi e Don Carnera, Cappellano del paese.

Don Giacomo Colussi, uomo avaro, non curante dei propri doveri, maldicente; Don Carnera, buono e  caritatevole, aveva per lui tutto il paese, meno quattro famiglie, fra le quali le due dei fabbricieri. Don Colussi nella domenica di passione dall’altare aveva inveito contro la popolazione e predicando era trasceso talmente con le invettive, con le apostrofi al Cappellano e ad altri uomini colà presenti, che parecchie donne caddero fuori dei sensi, e che tutto il popolo fra lo sdegno e la paura se ne uscì, ed il parroco bravamente se ne tornò in sagrestia senza terminare tampoco la messa. Si accrebbero le ire d’ambo i lati dopo codesto scandalo, e poiché il parroco proseguì a diffamare le sue pecorelle, ed a frequentare coloro che pubblicamente le andavano oltraggiando, tutte le donne ritennero per fermo che fosse egli l’autore dei cartelli, e perciò vederli, strapparli e correre alla canonica fu per tutte l’affare di un istante.

Negano le accusate d’essere corse colà col proposito di far violenza alla persona del loro detrattore, e sostengono per l’opposto che entrare nel cortile, lì gridarono “che volevano il loro onore”, e che erano venute perché lui, don Colussi, essendo stato il fabbricante dei cartelli, facesse la pace una volta con tutte loro, Se nonché il prete, avendo risposto che le dimostranti erano pazze, e cose simili, esse irruppero tutte nella casa, senza che le accusate abbiano qualsivoglia responsabilità diversa da quella di tutte le altre.

Finito l’interrogatorio, il quale diede luogo ad alcune particolarità bernesche anziché no, ma d’indole assai, delicata, l’avvocato Giuriati domanda che il Tribunale ammetta 7 testimoni, una perizia medica sullo stato mentale di Maria Martina Indri affetta da pellagra ed una perizia calligrafica per giustificare che i cartelli affissi alle porte emanano da certo Luigi De Rosa detto “Pissella  il factotum” e l’amico di don Colussi.

Il Ministero Pubblico di oppone con particolareggiato ragionamento a tutte le singole istanze della difesa, e dopo una replica assai energica del difensore, il Tribunale si ritira per deliberare sull’incidente. Ritorna dopo ¾ d’ora ammettendo senz’altro la perizia medica e riservando il decidere sull’audizione dei testimoni presentati dalla difesa dopo l’esaurimento delle prove fiscali.

Introdotto il testimonio don Colussi, questi narra l’accaduto nei termini a un bel circa dell’atto d’accusa. Ammette che alle sue imprecazioni la Chiesa si vuotasse il 7 aprile, che le cose da lui dette si contenessero nello scartafaccio che egli leggeva, ma dice che le donne erano buone padrone di andare in deliquio, come di uscir dalla Chiesa. Nega di aver festeggiato la prossima partenza di don Carnera in una gozzoviglia ad Istrago. Nega di frequentare l’autore dei cartelli Luigi De Rosa, e tanto più di esserne il complice. Confessa però che oltre 100 donne trassero alla casa di lui, e che il suo partito era composto di tre o quattro famiglie soltanto.

Dopo l’esame di don Colussi, parecchie delle accusate protestano contro taluna delle sue osservazioni e lo smentiscono di punto in bianco.

Avvocato Giuriati : “Ella ha dichiarato di non esser mai stato condannato in via penale: ma, poco tempo fa, non soffrì condanna per lesione d’onore commessa a danno di certo Canto?”

Don Colussi : “E’ vero, ma il Canto aveva presentato dei testimoni falsi.”

Avvocato Giuriati : “Intanto ella ha detto una bugia. Andiamo innanzi. Non ha ella veduto un Cristo ad un ebreo per 42 svanziche?”

Don Colussi : “Questo fu venduto dalla fabbriceria.”

Avvocato Giuriati :” Il fabbriciere era lei. Non ha ella con grande scandalo del paese sostenuta una causa per non pagare l’olio santo? E non l’ha perduta in terza istanza?”

Don Colussi : “Non era l’olio santo, ma l’olio per illuminare il Santissimo.”

Questo secondo interrogatorio si prolunga alquanto sopra altri differenti particolari, e sempre sullo stesso tono alla maggiore soddisfazione del pubblico; finché l’ora essendo già inoltrata e da lunga pezza accesi i lumi, l’udienza è levata.
---Giornale di Udine – Num. 281 – Anno III – Mercoledì 25 novembre 1868 ---
L’udienza del 22 (domenica)si apre alle ore 10 precise. E’ giorno festivo e dalle voci corse su questa causa un affollato uditorio è sospinto nella sala dei dibattimenti.

Introdotto la seconda teste, la Pierina Cristofoli, donna di chiavi del parroco don Colussi, questa racconta i fatti che in genere si conoscono, aggiungendo alcuni nomi di donne che parteciparono alla invasione della Canonica, che gridarono, che asportarono oggetti e che non sono in processo. Conferma che armi non avevano, all’infuori di quella piccola spranga di carro che non sa in mano di chi fosse e che venne trovata nel cortile della casa parrocchiale. Difende don Colussi a spada tratta e solamente lo censura dicendo che volle fare quella predica a fin di bene, e invece fece peggio; il tono con cui questa Perpetua parla del suo don Abbondio desta viva ilarità nell’uditorio. Esaurito questo esame, le accusate che non avevano ardito dianzi contrapporre al parroco le proprie loro ragioni, si scatenarono contro la Pierina, ne scoprono gli altarini e le contestano una quantità di amanti rubati, di gelosie sofferte, di fianchi subiti, ecc. ecc.

Entra Indri Antonio, oste, anche questi del partito del parroco. Venne l’11 agosto da Spilimbergo a Tauriano con la frotta di gente che ritornava dalla messa. Udì prorompere gli sdegni, parlando dei cartelli, ma non intese che si macchinasse alcuna cosa, e prima della dimostrazione notò solamente la Rosa Cristofoli, la Carlotta e la Filomena che giravano per il paese infuriate. La Filomena ha da contrapporre a questo testimonio che la osteria di lui è diserta dacché lo si sa partigiano del parroco, ed ella che è ostessa, ha la soddisfazione di vedere il proprio esercizio floridissimo; di qui l’ira. La Rosa e la Carlotta a loro volta sostengono che il teste avrebbe voluto ingraziarsi presso di loro, e che esse dovettero fargli mutar opinione col mezzo di pugni e di percosse.

La quarta teste è la Chiara Martina, moglie del precedente, che depone come lui, come lui adita Carlotta e Filomena, e non introduce alcuna circostanza nuova né sul fatto n genere né sulle prove in ispecie.

Viene ultima la Teresa Zanin, giovanetta a 16 anni, nipote della governante di Don Colussi, abitante in Venezia, ma nel giorno dell’avvenimento in campagna a Tauriano presso la zia. La sincerità dell’accento, e la dolcezza della voce cattivano a questa teste le generali simpatie. Anch’essa non ne sa più degli altri, non indica alcun nome delle accusate meno quello di Anna Martina, le allieva dichiarando che la spranga di carro era in mano di certa Anna Zanin, che non fu tenuta in accusa. Dice poi che ha avuto tanta paura!

Così terminata l’audizione dei testimoni, il Presidente fatti entrare i due medici Dr. Marzuttini e De Rubeis deferisce loro l’incarico di esaminare la Maria Indri Bigoia, e di rispondere ai quesiti della difesa in ordine alla di lei imputabilità penale. Sorge quindi l’avv. Giuriati e deduce dalla escussione dei testimoni nuovi argomenti per chiedere l’ammissione di prove a difesa. Il Procuratore di Stato, senza opporvisi recisamente, dichiara i motivi per i quali non crede sia da accogliersi la istanza della difesa.

Ritiratosi il Tribunale, il dibattimento è ripreso circa due ore dopo. Il Presidente dà lettura di una ordinanza con cui, ritenuto che le deduzioni defensionali non mirano a cangiare la natura del fatto, confessato dalle accusate, e che tutta la contestazione cade sul titolo del medesimo, respinge sia le testimonianze, che la perizia calligrafica.

Si procede quindi alla lettura dei documenti, la quale si protrae fino alle ore 4, Fra questi è notevole il tenore dei cartelli stati affissi alle porte, che per debito di moralità non riproduciamo, ed un esame di Luigi De Rosa, autore presunto dei cartelli diffamatori: il De Rosa fu fatto scrivere precisamente per stabilire una pezza di confronto, senza che poi il confronto si facesse.

Udienza del 23 novembre 1868

Alla mattina, ultimata brevemente la lettura di alcuni atti processuali, il Procuratore di Stato Casagrande svolge le sue requisitorie, con le quali in applicazione dell’art. 83 del Codice Penale chiede la condanna di dieci accusate a cinque mesi di carcere, e la condanna di altre quattro a mesi 6.

L’Avv. Fabiani discute parte a parte le prove, e dimostra con diligente e stringata deduzione che nessuna delle accusate ha contro di sé alcuno di questi fatti speciali da cui contraddistinguere si possa chi fu provocatore della dimostrazione, da chi è stato considerato incolpevole, e perciò andò scevro da qualunque molestia.

L’Avvocato Giuriati risponde a tutte le proposizioni del Ministero Pubblico, giustifica politicamente e moralmente l’operato delle donne di Tauriano, stigmatizza il Parroco e il suo partito, dimostra la inapplicabilità al caso della legge penale. La sua arringa occupa l’udienza oltre due ore: sul finire della perorazione tutte le accusate piangono, e l’uditorio commosso prorompe in applausi, che sono repressi dal Presidente.

Il Procuratore di Stato soggiunge lungamente, e sebbene sia l’ora molto inoltrata, l’Avvocato Giuriati vittoriosamente replica anco una volta. La seduta è levata alle cinque e mezzo, rimandata all’indomani alle due per la prolazione della sentenza.

Udienza finale del 24 novembre 1868 – Tribunale Provinciale di Udine

Il pubblico che assisté a tutta la causa con crescente interesse riempie la sala molto prima dell’ora indicata. Esso attende con manifesta impazienza il giudicato, e quando dalla lettura del medesimo comprende che le donne di Tauriano sono assolte, un battimani generale rompe a mezzo le parole del Presidente. Le accusate gridarono; “EVVIVA IL TRIBUNALE!”.
Dobbiamo completare la relazione di questo processo avvertendo che la sentenza, oltre a soddisfare la pubblica opinione, ci parve un modello di legalità e di logica.
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