Capitano RAFFAELE LIBROIA
Medaglia d'oro al Valor Militare
(dalla commemorazione tenuta a Milano dal Cap. Augusto Fiore – il 16 giugno 1939 – XVII)
Nacque Raffaele Libroia il 16 dicembre 1889 a Napoli da famiglia di militari, ove ebbe come il fratello maggiore - poi celebratissimo chirurgo e pure decorato al valore - e le 4 sorelle educazione solida e sana, ispirato al duplice culto di Dio e della Patria: Gli fu modello di rettitudine, di equilibrio e di dedizione assoluta al dovere, il padre Luigi, colonnello medico, la pietà, la dolcezza, l'affezione smisurata della madre Teresa Vicedomini - raro esempio di virtù domestiche e di gentil sentire - gli infusero quella cortesia di modi e quella bontà d'animo che lo resero così caro, tanto ai dipendenti, quanto ai colleghi ed ai superiori.
La forte personalità del padre, l'ambiente stesso in cui il Libroia veniva allevato, lo portarono, favorito in ciò anche da indubbia predisposizione, sin da fanciullo a ravvisare nella vita militare l'ideale dell'esistenza. Ed in breve questa credenza assunse a vera passione per l'esercito ingigantiva così in lui il desiderio di intraprendere al più presto possibile la carriera militare per divenire un giorno Ufficiale di Cavalleria. Adorava i cavalli. Anima superiore sentiva anche il bisogno prepotente di dedicarsi ad alte finalità; anima quindi di santo o di cavaliere. Gli insegnamenti morali della madre avevano trovato in lui terreno propizio ed avevano largamente fruttificato. Quale Anima, posto che voleva servire la Patria militando nell'esercito, poteva meglio rispondere alle sue spirazioni della Cavalleria? Di quella Cavalleria che sin dai lontani tempi era stata l'espressione perfetta della cortesia, dell'abnegazione e dell'eroismo?
Conseguita la licenza liceale chiede ed ottiene dai genitori il consenso a concorrere per l'ammissione all'Accademia Militare di Modena: Superati gli esami nel 1910, egli vi entra felice di poter così soddisfare il suo grande desiderio: vi entra ancora digiuno di cultura militare, ma di già forte in sella, per quanto non ancora cavaliere. Infatti egli non aveva mancato la più piccola occasione, fin da quando frequentava le scuole, per montare a cavallo e darsi con passione a questo sport preferito. Congedandosi dalla madre -per la quale nutriva un affetto smisurato, fin quasi eccessivo, - e ne era parimenti ricambiato -ebbe a dire allora con serenità, una fermezza: "che avrebbe fatto sempre il suo dovere e se gli fosse possibile anche di più per la gloria della Patria, per l'onore della famiglia".
Finalmente al termine del corso 1912 Raffaele Libroia con orgoglio della famiglia e suo ben comprensibile giubilo, ottiene la promozione a Sottotenente e viene assegnato al Reggimento Cavalleggeri di Foggia. Il desiderio della fanciullezza, le aspirazioni di adolescente, la volontà costante che si era sempre più rafforzata in lui da giovine, avevano così il loro soddisfacimento. Avrà anche lui dei cavalleggeri da istruire, da guidare; forse anche in guerra: l'orizzonte delle sue speranze si allarga... Quello che era stato sovente un insieme di confuse visioni, diviene ora agli occhi della sua fantasia eccitata un quadro che si fa sempre più definito ed avvincente. Vede una scena movimentata il neo ufficiale Libroia, scorge dei fanti appostati che sparano, dei pezzi in azioni, un nugolo improvviso di polvere, poi irrompere, a briglia sciolta, una massa di cavalleria, che travolge e spiana: la carica vittoriosa, la grande aspirazione dell'Arma! Antivede inconsapevolmente il suo prossimo domani! I Cavalleggeri di Foggia, pur non contando tra i 29 Reggimenti allora esistenti, una lunga vita, né ricche tradizioni, era comunque un bel Reggimento della Cavalleria Italiana. Aveva concorso alla formazione degli Squadroni Africa e Cacciatori a Cavallo operanti in Eritrea nel 1887-88; alcuni suoi ufficiali e gregari erano stati ancora in Eritrea nel 1895-96; aveva partecipato alla guerra italo-turca nel 1911 ed ovunque si era fatto onore. Ce n'era abbastanza per entusiasmare il neo ufficiale. Comandava allora il Foggia il Colonnello Del Poggio, oggi generale a riposo abitante a Voghera. Libroia avrebbe così avuto un capo brillante e altri superiori e colleghi degni del Comandante del Reggimento al quale era stato destinato.
Come un puledro generoso, egli bramava di cominciare, di muoversi. Confidava nell’avvenire che gli si prospettava sotto i più rosei colori, fidava nel suo destino, che intuiva doveva riserbargli soddisfazioni e forse quel nastrino azzurro che già fregiava il petto del padre ed era stato l’oggetto nel 1916, allor che vennero appiedate le Divisioni dell’Arma, come numerosi altri di Cavalleria, cavalieri tra i fanti e più precisamente bombardiere, in quella specialità che, pur non appartenendo a nessuna Unità distinta, con tutte combatteva, migrando da una località all’altra dell’estesa fronte di guerra a seconda dei bisogni della Regina delle battaglie. Chi fu in linea ricorda cosa significasse essere bombardiere: voleva dire innanzitutto, possedere fegato sano e nervi saldi, voleva dire, diuturna cosciente dimestichezza con pericolo; significava possedere le doti proprie ai veri cavalieri.
Ecco anche una ragione e senza per questo nulla voler togliere al valore indiscusso delle Armi consorelle, che tutte gareggiavano in bravura e si fecero onore – perché almeno un terzo degli ufficiali comandanti dei reparti bombardieri fu tratto dai nostri superbi reggimenti. S.E. Benito Mussolini, ineguagliabile Capo di Governo e nostro Duce, che sa ben vagliare uomini e fatti ed infallibilmente giudica all’Adunata Nazionale dei Cavalieri d’Italia del 28 giugno 1937 a Roma ebbe a dire: “Tutte le volte che, dal Risorgimento all’Impero, l’Italia chiamò i suoi figli al combattimento, la Vostra Arma scrisse pagine superbe di eroismo. Venuta l’epoca dei motori, essa diede fanti alle trincee e l’asso degli assi all’ala tricolore. Chi dice Cavalleria, dice infatti dimestichezza al rischio e devozione alla Patria sino al sacrificio”.
E son queste delle verità inoppugnabili e per queste altissime benemerenze riconosciute universalmente alla Nostra Arma – dalle tradizioni antichissime di disciplina, di ardimento, di dedizione e di cortesia; tradizioni che Sono tuttora il suo credo e il suo ben giusto vanto – venne conferita da S.M. il Re la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la ben nota stupenda motivazione dettata dallo stesso Capo del Fascismo, di quel superbo movimento – sintesi di coraggio e di ardimento – che ridiede l’Italia agli Italiani e donò la nuova legge al mondo! Raffaele Libroia come bombardiere, si distinse per perizia, calma, sprezzo del pericolo e ardire, tutte doti queste che dovevano trovare nel non lontano 2 Novembre 1918 la loro più fulgida consacrazione nei pressi di Tauriano.
Nell’assolvere gli altri compiti affidatigli, Egli diede tutta la sua intelligente attività, tutta la sua sincera passione, cercando ognora di rendersi utile nel migliore dei modi, ma senza la più piccola millanteria, quasi con umiltà. Ed è per questa sua modestia che suscita la nostra ammirazione e conferma che le vere virtù rifuggono, per la loro medesima natura, da ogni esibizione; della sua costante ammirazione. Al reggimento e per quanto fosse serio per natura e misurato nei gesti, prese parte, in piena fratellanza coi compagni giovani e frementi di vita quanto lui, ma di lui più spensierati, agli spassi ed agli scherzi, risentì la benefica influenza di quella comunione di spiriti che rendeva tutti solidali.
La guerra europea del 1915-18, quella etiopica che in poco più di 6 mesi ci condusse all’Impero ed infine le recenti magnifiche affermazioni in Spagna, sono luminose prove della bontà del sistema di porre la disciplina, il senso del dovere, l’ardimento e l’amore per la famiglia e per la Nazione – tutte doti della Cavalleria – al vertice delle aspirazioni di ogni buon cittadino soldato, come son tutti ora gli Italiani degni di questo nome.
Ultimato il corso di Pinerolo, Raffaele Libroia ebbe a seguire pochi mesi dopo, quello di perfezionamento di Tor di Quinto, ove riuscì classificato “ottimo”. Il sogno da ani accarezzato di essere un giorno ufficiale di cavalleria e prestante cavaliere, si era così realizzato appieno. Dato un nostalgico addio a Tor di Quinto, come già a Pinerolo, separatosi con rimpianto dagli istruttori rigidi ma valenti e dai compagni giocosi e spensierati e parecchi anche mattacchioni, ma sempre signori e cari, rientro nel Reggimento ormai capace, a sua volta, di istruire, di guidare. Era finita la vita gioconda, il tempo delle pure idealità, delle romantiche cavalcate nella sterminata superba campagna romana; era scoccata finalmente l’ora di operare, di seriamente operare: altre mete lo attendevano e doveva raggiungere. Promosso Tenente appena scoppiata la guerra Europea fu anche lui si appagano in se stesse!
Anima delicata ed altruista per eccellenza anche nella corrispondenza, diretta esclusivamente alla madre, non si soffermava mai su episodi bellici per non accrescere le giustificate apprensioni dei suoi ed in modo particolare di colei che era il suo angelo tutelare in terra e adorava. Illustrava la vita che conduceva in guerra nei suoi aspetti migliori; si compiaceva del cameratismo esistente tra gli ufficiali, esaltava le qualità superbe di tutti i combattenti in generale e dei suoi cavalieri in ispecie, provetti soldati e capaci di ogni nobile gesto, di ogni ardimento; di se stesso diceva poco e nulla; prerogativa dei Grandi! Promosso Capitano ai primi del 1918, il Libroia venne assegnato al Reggimento Cavalleggeri di Saluzzo, allora ancora adibito alla difesa del Basso Garda; ad un Reggimento quindi dalla lunga tradizione che aveva anche di recente scritte nuove fulgide pagine di purissimo eroismo. I giallo e neri avevano concorso nel 1855 alla formazione di quel Reggimento Cavalleria Provvisorio che si batté alla Cernaia e 4 anni dopo nel 1859 combatteva a Zinasco, a Torre Beretta, a S. Martino, a Peschiera, dando ognora brillanti prove di indomito valore; avevano partecipato all’ingrata, ma non meno necessaria campagna di repressione del brigantaggio, favorita e sovvenzionata dalla Francia, “l’amorosa nostra sorella latina”, e nel 1866 a Custoza avevano fatto argine coi loro generosi petti all’irruenza nemica, dando cos’ nuova prova di possedere appieno quello spirito di sacrificio e di dedizione sino alla morte alla sacra causa della Patria anche nell’avversa fortuna; requisiti questi del resto peculiari alla nostra Cavalleria tutta che si estrinsecano nella convinzione sorta e radicata nei nostri reggimenti che “la Cavalleria italiana ha sempre vedute le groppe di quella avversaria”.
Conosceva Libroia che il Reggimento Saluzzo dovunque lo avesse chiamato il destino, si era sempre prodigato per il suo Re, per la Patria ed a maggior vanto dell’Arma Invitta. Ancora sapeva Egli che nella stessa Grande Guerra che si combatteva ormai sa più di 2 anni, in Valsugana nel 1915, poi alla presa di Gorizia nell’anno seguente e durante la dura offensiva della Bainsizza dell’agosto 1917, a Gargaro e a Fobiza, infine nella “tragica ora del fierissimo sdegno” durante cioè la ritirata dell’ottobre-novembre 1917 – che fu dovuta al troppo presto proclamato disfacimento della nostra compagine militare, bensì ad un fugace smarrimento subito seguito da una superba ripresa, prova ineguagliabile delle inesauribili risorse di nostra gente – a Beivars, a Udine, a S. Daniele del Friuli, ancora al comando di quell’intrepido e magnifico Colonnello Airoldi di Robbiate barone Luigi, i Cavalleggeri Saluzzo avevano contrastato accanitamente al nemico irrompente e baldanzoso il sacro suolo d’Italia, dimostrando così ed una volta ancora le loro migliori doti di fermezza, di alto senso del dovere e di capacità combattiva e mietendo sui campi contesi e insanguinati anche del loro sangue, altra messe di gloria! Il Reggimento ritirato dalla fronte il 10 novembre 1917 dopo più di 15 giorni di ininterrotta estenuante azione a cavallo ed a piedi, che aveva ridotto molto gli effettivi, il 23 dello stesso mese era stato trasferito sul Basso Garda per svolgervi, in sostituzione dei Cavalleggeri di Aquila, servizio di vigilanza e di difesa per, nel contempo, provvedere alla sua indispensabile ricostituzione.
Per quanto delusi dell’inattesa avversa fortuna, i giallo e neri erano però fieri di aver degnamente assolto il più difficile compito che potesse venir loro affidato, quello cioè di proteggere i fratelli delle altre Armi che ripiegavano! Fiduciosi, come Libroia, negli immancabili migliori destini della Patria, essi di già guardavano all’avvenire con l’intimo convincimento che sarebbe venuto il momento propizio di raccogliere i frutti dei loro sacrifici, della loro fede e della loro diuturna preparazione; l’ora di cancellare l’onta patita, di vendicare i fratelli caduti, per lanciarsi alfine alla carica sui fianchi e alle spalle del nemico, a sua volta in rotta e per sempre! S.A.R. il Conte di Tornio nell’inviare l’augurio di Capo d’Anno al Reggimento aveva giustamente scritto: “Ai Cavalleggeri di Saluzzo, tenaci, forti, ed uniti ovunque li chiama il Destino”. A questo bel Reggimento apparteneva ormai neo Capitano Libroia ed in esso seppe, in breve volger il tempo, conquistarsi l’affetto dei dipendenti e dei colleghi, nonché la stima dei superiori per la grande bontà d’animo, gli ottimi requisiti di cavaliere e di Comandante di Squadrone, l’alto senso del dovere che lo animava. Durante la licenza invernale del febbraio 1918 – che doveva purtroppo essere anche l’ultima della sua vita terrena – e poco prima di tornare alla fronte realizzò il suo sogno d’amore che fu coronato dalla nascita di una bambina, che Egli, però non riuscì neppure a vedere, essendo venuta alla luce quasi un mese dopo la sua morte eroica; ma non gli sopravvisse molto, a 6 anni non ancora compiuti, in febbraio del 1920 si ricongiungeva in cielo al padre glorioso che non aveva mai conosciuto in terra! E’ di quello stesso tempo una affermazione fatta in famiglia che sembra profezia. Egli disse, con la solita calma e con tutta semplicità, che era fatalista e che, doveva morire, la morte l’avrebbe colpito anche l’ultimo giorno di guerra. E così fu, ma la morte lo carpì per donargli una nuova luminosa vita: quella dell’Immortalità.
Stroncate le velleità del secolare nemico con la superba resistenza al Piave del giugno-luglio del 1918 e nella quale Reparti di Cavalleria avevano ed efficacemente cooperato e gareggiato in bravura con le altre Armi schierate in campo, si rafforzò negli Italiani la speranza già intimamente nutrita subito dopo la valida resistenza offerta al Piave del Novembre 1917, di poter tra non molto ripassare il Sacro Fiume e marciare alla riscossa. La Cavalleria aveva avuto frazionato ma largo e proficuo impiego nelle operazioni e come sempre aveva offerto il meglio di sé per efficacemente concorrere a rinsaldare le linee momentaneamente spezzate, per ostacolare i tentativi di sfondamento del nemico, per, infine vigilare di questo le mosse e tempestivamente provvedere a fornire le necessarie informazioni ai Comandi delle grandi e piccole Unità. Oltre ai Cavalleggeri di Caserta, ai Lancieri di Firenze, i Piemonte Reale e di Vittorio Emanuele, anche squadroni dei Cavalleggeri di Foggia trovarono ininterrotto impiego, dando prova di slancio e di combattività; proprio gli Squadroni di quel Reggimento Foggia nel quale il nostro Eroe aveva fatto le prime prove di ufficiale e che può vantare di aver avuto nei suoi ranghi quel mirabile Ruffo di Calabria vittorioso in ben 53 combattimenti aerei, che cercò la Vittoria ovunque poté ghermirla, che fu, come dice la motivazione della Medaglia d’Oro “veramente mirabile esempio di valorosi”.
E l’ora dell’anelito e tanto desiderata riscossa, scoccò e con essa ebbe termine la nostra IV guerra per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia, che segnò la scomparsa definita dell’Austria-Ungheria dal concerto delle grandi potenze ed il preludio dell’ineluttabile termine della Grande Guerra. Checché abbiano scritto, scientemente mentendo per obliqui fini, i nostri ex alleati, delle fulminea nostra riscossa, che prese il nome fatidico di Vittorio Veneto, e che venne meno la resistenza dell’avversario accampato sul suolo di Francia ed questa poté riprendersi le provincie già invase e facilmente cingere il serto della vittoria a noi e principalmente a noi dovuta. In Italia si vinse la guerra, in Francia si rubarono malamente i frutti, in Italia si morì per un ideale, là si fece turpe mercato di popoli, d’interessi, offendendo la Giustizia e travisando i fatti a tutto vantaggio delle nazioni plutocratiche. Purtroppo la nostra superba avanzata – espressione concreta della ripresa ed accresciuta possanza del nostro esercito e delle genialità dei suoi Capi richiese e sino agli ultimi istanti, volontà tenace ed un nuovo largo tributo di sangue. Sull’altare già tutto vermiglio dai numerosissimi olocausti e sacro ai destini d’Italia, immolò con altri molti, la sua balda giovinezza il Capitano Raffaele Libroia!
Il 2 Novembre 1918, verso le ore 13 e mezzo, cadeva infatti l’Eroe alla testa del suo Squadrone (il terzo) da lui trascinato ad irruente carica contro il nemico numeroso appostato ed agguerrito. Poco dopo mezzogiorno il Colonnello Sarlo – Comandante del Reggimento Saluzzo – nel breve rapporto che ebbe a tenere a Tauriano agli Ufficiali, appositamente riuniti in un cortile, disse all’incirca così:
“L’occasione tanto attesa ed agognata dalla Cavalleria alfine si presenta! Mi giunge in questo momento dal Comando della Divisione l’ordine di raggiungere con tutto il Reggimento subito e ad ogni costo Pinzano, che risulta occupato da ingenti forze nemiche intente a passare il Tagliamento, per sorprenderle ed attaccarle con la massima decisione. Compito grave, ma superbo! Il Reggimento seguirà l’itinerario Tauriano, Istrago, Vacile, Lestans, Pinzano. Uno squadrone precederà la colonna in servizio d’avanguardia; quale crede di poter ambire a questo onore?”
A tale domanda tutti i Comandanti, seguiti dai loro subalterni, fecero simultaneamente un passo avanti. Questo gesto spontaneo ed unanime, molto impressionò il Colonnello che con orgoglio li ammirò in silenzio per qualche istante, poi soggiunse: “I signori Ufficiali mi danno in quest’ora piena di fato una soddisfazione che, io – se sopravviverò - più non potrò risentire in vita mia e siccome tutti lor Signori, da veri Cavalieri d’Italia, vorrebbero essere primi a piombare sul nemico, così dispongo sia adottato nell’incolonnamento l’ordine amministrativo ed al primo Squadrone il privilegio del servizio d’Avanguardia. Signori Ufficiali a cavallo!”
E l’intero Reggimento con la Sezione di Artiglieria a cavallo del Tenente Bassi assegnata di rinforzo – si avviò, stendardo spiegato al vento, alla volta di Pinzano, con le debite misure di sicurezza. Battevano le ore 13! Era però appena giunta la lunga colonna a mezza strada fra Tauriano e Istrago, che fu improvvisamente investita sul lato sinistro, da nutrito fuoco di fucileria ed artiglieria. Nel mentre ed in seguito ad informazioni frattanto avute dagli elementi fiancheggianti, che poco lungi presso l’hangar in località Cristo fronte alla strada Tauriano-Vacile, si trovavano distese in posizione circa 2 compagnie di ungheresi 6 mitragliatrici ed appoggiate da 2 pezzi di artiglieria da 105, il Colonnello impartiva le disposizioni del caso (controbattere subito il fuoco avversario con la Sezione di Artiglieria uno Squadrone appiedato, una sezione mitragliatrici ciclisti ed una dello Squadrone Mitraglieri e lanciare alla carica a stormi gli altri Squadroni, due di fronte e due alle ali dello schieramento nemico) il Capitano Libroia senz’altro e di sua iniziativa arditamente si buttava deciso contro il nemico immediatamente imitato dal Capitano Serenelli col suo 5° Squadrone.
La rapida irruente azione urta e travolge il nemico che viene fatto prigioniero a malgrado della tenace resistenza opposta e dalla potenza spiegata col fuoco sino agli ultimi istanti (i due pezzi di artiglieria continuarono a sparare a zero, fino a che il Capitano Libroia non pervenne col suo Squadrone su di essi e su di essi esalava il suo grande Spirito). Per quanto ferito gravemente ad ambo le gambe sin dall’inizio dell’azione, incurante del dolore, Libroia vi perseverava, trascinando con maggiore impeto alla carica il suo reparto, dando così superbo esempio di ardimento, di stoicismo e sprezzo del pericolo. Il comandante del 5°squadrone Cap. Conte Serenelli, che immediatamente seguiva quello di Libroia, riusciva a vendicare il malvagio gesto di un Capitano avversario – che vigliaccamente aveva ancora sparato sul caduto Eroe – ma da un servente di un pezzo veniva, a sua volta gravemente colpito al petto. Tutta l’azione durò meno di quanto occorra a succintamente descriverla; essa fu così veemente è rapida che raggiunse lo scopo ed il successo con perdite relativamente ridotte. 5 Caduti, tra i quali il Capitano Libroia; il capitano Serenelli Serenello (Med Arg. Val. Mil.) e 21 cavalleggeri feriti, 2 cavalli uccisi e 24 colpiti. Bottino 230 prigionieri, 2 cannoni, 6 mitragliatrici.
Se l’eroismo è, come io lo ritengo e lo considero la sublimazione del coraggio cosciente, il Capitano Raffaele Libroia ben a diritto deve essere considerato un vero purissimo Eroe, così come la Maestà del Re ha voluto consacrarlo assegnando alla sua Memoria la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente ed eloquentissima motivazione:
“All’ordine di attaccare una batteria nemica, che improvvisamente aveva aperto il fuoco su di un fianco del proprio Reggimento in marcia, con slancio e coraggio mirabili, alla testa dello Squadrone, di cui aveva il comando, si avventava impetuosamente contro i pezzi avversari in azione. Fatto segno a violento fuoco e gravemente colpito ad ambo le gambe, con perseveranza, indomita audacia, incurante dello strazio prodottogli dalle doloranti ferite, riunite in uno sforzo supremo tutte le sue energie ed incitato col suo fulgido esempio il proprio reparto, perseverava con esso nell’arditissima carica trascinandolo sui pezzi tuttora fumanti e, nell’attimo in cui li conquistava, colpito a morte, lasciava gloriosamente la vita sul campo. – Tauriano (Udine) 2 novembre 1918”. (Atto Conferimento del 7 agosto 1919)
Impavido il nostro Eroe ha guardato in faccia la Morte e l’ha sfidata per la grandezza d’Italia, per la gloria dell’Arma, per ubbidire al suo Credo, per ghermire la Gloria che si abbevera del sangue degli eletti e il più delle volte tutti interi per sé li vuole. Raffaele Libroia rinnovava nei pressi di Tauriano l’ardimentosa gesta compiuta il 3 giugno 1849 da Angelo Masina, pure Medaglia d’Oro, caduto per la difesa di Roma sulla scalea di Villa Corsini (Casino dei 4 venti) alla testa dei Lancieri Italiani della Legione Romana con le truppe francesi, che dopo il tradimento di Villafranca e fino al 1870 sempre e dovunque ci trovammo di fronte per ostacolare la nostra formazione di Nazione soffocare le nostre giuste aspirazioni. Oggi ancora la Francia, dopo altri venti anni di angherie e soprusi – più o meno larvati – toltasi finalmente la maschera, ci nega il diritto a quell’adeguato posto al sole che ci compete ed intendiamo avere ed otterremo. L’Italia, ormai tira diritto. Ed un altro grande, pure Medaglia d’Oro, aveva degnamente emulato il nostro Eroe: il generale Paolo Griffini che al Macerone, il 20 ottobre del 1860 superbamente caricava coi bianchi Lancieri di Novara i borbonici catturando la loro bandiera tricolore con lo stemma Reale e la Croce Costantiniana di S. Giorgio, ora conservata all’Armeria Reale di Torino.
Fulgido esempio di sovrumano coraggio, il Libroia! Come il Capitano Laiolo Ettore di Genova Cavalleria – sacrificatosi un anno prima, durante la ritirata a Pozzuolo del Friuli il 30 ottobre 1917 – si gettava stoicamente contro il nemico, dimostrando che sempre la Cavalleria non scappa ma calca l’elmetto e galoppa. Anime supreme questi Sacerdoti del Sacrificio e della Gloria che assieme agli altri molti nostri eroi antichi e recenti hanno inazzurrato gli stendardi dell’Invitta nostra Arma che, dai suoi magnifici Principi Sabaudi ai più umili gregari sa sempre e dovunque gettare l’anima al di là dell’ostacolo. S.A.R. il conte di Torino, comandante il Corpo di Cavalleria in tempo nella Grande Guerra, a vittoria definitivamente raggiunta, commise alla storia le nuove benemerenze dell’Arma col seguente memorando saluto del 16.11.1918 diretto ai Cavalieri d’Italia:
“In 6 giorni aspramente contesi avete portato la vittoria dal Piave all’Isonzo e ridato alla Patria con l’irresistibile irruenza vostra le terre da un anno martoriate e dove i nostri fratelli ansiosamente vi attendevano. Dai fatidici nomi dei reggimenti traendo ideale e forza, foste l’invincibile Avanguardia verso i confini della nuova Italia, recando coi colori della Bandiera, la gloria della stirpe”.
Ed ancora il Maresciallo d’Italia S.E. Gaetano Giardino, comandante della gloriosa Armata del Grappa, quasi 4 anni dopo nell’orazione che tenne il 20.5.1923 all’inaugurazione del Monumento al Cavaliere d’Italia a Torino, ebbe ad affermare, tra l’altro, che la Cavalleria. “… sia nella buona come nell’avversa fortuna rende servizi splendidi ed eminenti, meglio servizi inestimabili, che troppo spesso dai più non vengono stimati al loro giusto valore perché son fugaci, episodici, ma servizi che decidono della vittoria o della valutazione, della vittoria o della salvezza e che costituiscono perciò da soli, fossero resi anche una sola volta in un secolo, la ragione d’essere e la gloria di un’Arma..”.
E sono queste verità solari! In Abissinia ed ancora recentemente in Spagna fu data nuova meravigliosa conferma. Tutte le volte che la Patria richiede l’intervento dei suoi Cavalieri, ovunque ci sono degli oppressi da liberare, un ideale da difendere, la Cavalleria volenterosa risponde: “PRESENTE” – e si getta con ardore ed inesausta energia nella lotta. Cavalieri di Neghelli, in questo stesso istante vi odo galoppare verso di noi trascinati, come nella carica di Malca Guba dal vostro indomito Cap. De Rege, siccome sento il cigolio del Decimo Squadrone carri veloci sul Nilo, comandato da quell’intrepido Cap. Ettore Crippa – mio amico carissimo e già compagno in Saluzzo – che a Dembenguinà, con il suo degnissimo coadiutore, ten. Franco Martelli, per dare il massimo appoggio alle Fanterie, oppose alla cattiva fortuna ed al nemico soverchiante, eroico contegno e la bellezza del sacrificio; tutti vi sento, vecchi e nuovi Eroi della Cavalleria, qui accorrere per rendere gli onori assieme al Legionario Cap. Di Bandera Romolo Fowst – che si immolò per il trionfo dell’idea fascista in Spagna – alla sacra memoria di Raffele Libroia – certamente qui presenti in ispirito – vostro degno fratello nell’ardimento e nel sacrificio, a tutti voi congiunto nell’aureata morte e nella luminosa Immortalità.
Le spoglie del Cap. Libroia esumate dal semplice Camposanto Veneto (Tauriano) e traslate al cimitero di Nocera Inferiore (Salerno) vennero quivi degnamente ricomposte nel recinto riservato ai Caduti di Guerra.
Le 4 sorelle – sole superstite della famiglia – vi si recano sovente in pio pellegrinaggio per infiorare, baciare quella sacra tomba e benedire alla memoria del Grande Fratello che con la sua gesta, ha affidato alla Gloria anche il nome della Famiglia.
A quella tomba che è faro di luce purissima per l’eternità e fiamma vivificatrice del nostro spirito, vogliamo giunga in questo istante veramente solenne il nostro tributo d’illimitata ammirazione e di imperitura gratitudine come Italiani e quali Cavalieri.
Capitano Serenello Serenelli -
Medaglia D'Argento al Valor Militare
Caduti durante la carica
Sergente FRANCESCO FERRARI - Medaglia d'Argento Valor Militare
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Caporale EUGENIO BIANCHINI - Medaglia d'Argento Valor Militare
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Caporale ENRICO BRIANZONI - Medaglia di Bronzo al Valor Militare
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Cavalleggero ANDREA LONAZZI
In merito agli artiglieri e fanti caduti Austro Ungarici non abbiamo informazioni ufficiali