Toni Tomasella - Meno aglio, più sale, non cannella
Pubblicato in Persone · Domenica 01 Feb 2015
Grazie alla collaborazione con "IL BARBACIAN" possiamo pubblicare parte dell'articolo "Ezio Avoledo e Toni Tomasella norcini" scritto a Pietro De Rosa e pubblicato nel dicembre 2014 sulla famosa rivista spilimberghese
Premessa Storica "IL PURCITAR"
Quella dei norcini (ipurcitârs) era una delle attività più importanti nella società agricolatradizionale, quando il maiale costituiva una risorsa fondamentale nell'economia familiare. La vita e il lavoro di due maestri del settore.
Ai primi freddi dell'inverno nelle case contadine del Friuli, ci si preparava con impegno a una operazione che si svolgeva una volta all'anno: purcitâ. Ci si preparava a macellare il maiale. Il capo famiglia acquistava le budella sotto sale e le droghe da un venditore di fiducia, i ragazzi accendevano un fuoco in cortile e le donne bollivano le budella rivoltandole più volte finché erano perfettamente pulite, quasi sterilizzate.
Ogni famiglia aveva un tavolo per purcitâ, lungo e robusto, in caso contrario c'era sempre qualche famiglia vicina che lo prestava volentieri, in nome di quella solidarietà propria della gente dei campi. Quando tutto era pronto, budella, droghe, acqua calda, sale, pepe, aceto, aglio, in un ambiente caldo, quasi sempre in cucina, entrava in campo il purcitâr. Coltelli, acciaino, macchina per macinare, massanc par pestâ li' crodis. Con l'aiuto dei vicini si provvedeva a far uscire il maiale dal ciôt per assicurarlo a un attrezzo che a Spilimbergo si dice: siviera, che è praticamente una scala a pioli in legno con quattro gambe che serve da tavolo, per legare il maiale se poggiata sulle gambe e da sostegno quasi verticale se poggiata a un muro.
Ucciso, il maiale veniva rasato con coltelli taglienti e acqua bollente e, spostando la siviera in piedi, sventrato. A questo punto subentrava una sosta obbligata perché il veterinario che doveva esaminare il fegato del purcit ed era in giro per altre visite, non arrivava mai al momento giusto, in attesa si sorseggiava un vino caldo e si mandavano a chiamare i bambini che erano stati allontanati durante la fase cruenta. Portato in cucina il maiale veniva sezionato dal purcitâr che in gran parte dei casi era un maestro nella scelta e nella concia dei vari prodotti, sempre comunque attento alle richieste della padrona di casa che, conoscendo le esigenze della famiglia, doveva far sì che si facessero salami e musetti ma che rimanesse anche il grasso necessario per friggere e condire durante l'anno. Sul grande tavolo c'erano le carni già separate e conciate e ci si preparava a insaccarle, non prima di averle assaggiate appena scottate sul tecìn o direttamente sulla piastra della stufa. A sera salami, musetti e salsicce restavano appesi in cucina per essere asciugati a fuoco moderato, controllato anche durante la notte par no fâju scartossâ. Passato il tempo, il tutto veniva riposto in cantina garantendo un anno di risorse.
Antonio Tomasella
Toni è nato a Mareno di Piave in provincia di Treviso il 19 agosto 1923, in una famiglia di tredici persone: papà, mamma e undici figli di cui nove maschi e due femmine. Non c'erano fabbriche ma solo campagna, in gran parte di proprietari terrieri che cercavano contadini per lavori occasionali. La famiglia era grande, tante mani ma anche tante bocche e Toni cominciò a tredici anni a lavorare nelle piantagioni di tabacco, che in quegli anni era nel Veneto una delle più grandi risorse: in estate nei campi addetto ai lavori più umili; in inverno in essiccatoio alla cernita delle foglie riempiendo le botti che in primavera venivano consegnate allo Stato dopo tutti i controlli della Guardia di Finanza.
Il lavoro era comunque saltuario e Toni in inverno aiutava gli zii, fratelli della mamma, nell'arte della norcineria, imparando ben presto ad arrangiarsi da solo. Nel 1938 la famiglia si trasferisce in Friuli a Tauriano, per spostarsi dopo un solo anno a Sequals nell'azienda di uno strano signore di nome De Franceschi, che voleva seminare grano e piantare viti in un terreno di grava, tanto che tutti lo chiamavano il re dai claps. L'uomo sapeva benissimo che in un terreno simile non poteva bastare l'acqua della pioggia, al punto da iniziare un'opera che si trova ancora in azienda a testimonianza di grande caparbietà: scavò a mano un pozzo che raggiunse la profondità di 50 metri e interruppe i lavori per una frana che lo coinvolse. [Ora, con l'arrivo dell'acqua, è una delle zone più coltivate dello spilimberghese a mele e uva]
La famiglia lavorava al "re dei sassi", quando il giorno 8 gennaio 1943 Toni ricevette la cartolina precetto e partì per la guerra: aveva 19 anni e si ritrovò a Pola aggregato al 291° Fanteria. Trasferito a Zara, l'8 settembre fu fatto prigioniero dai tedeschi con tutti i suoi commilitoni e portato nei fortini di difesa in riva al mare.
Dopo alcuni giorni i tedeschi organizzarono una colonna di camion scortata da mezzi con mitragliatrici, per portarli in Germania; ma appena fuori dall'abitato furono attaccati dai partigiani slavi e costretti a ritirarsi. Con il secondo tentativo arrivarono a Biack (?) e caricati sui carri bestiame giunsero a Essen, dove in stazione furono oggetto di sputi da parte della gente e di grida: Badoglio saiser!
Toni si trovò alle acciaierie Krupp, nel reparto fonderia ed era addetto con tre compagni al trattamento della terra refrattaria che proveniva da precedenti colate. Toni ricorda che spostando la terra con la pala faceva perno su una gamba per girare la pala verso il vaglio e crivellare la terra, così che delle due dalmine di legno che portava, una era completamente consumata, mentre l'altra era nuova.
Dopo migliaia di cubi di terra spostata con 200 grammi di pane e 20 grammi di margarina al giorno, ridotto alla fame e privo di forze, distrutto nello spirito, cominciò a pensare che sarebbe morto in quella fonderia. L'unico conforto era il continuo via vai di bombardieri che di notte sorvolavano il campo, finché un giorno si cominciarono a sentire anche i fischi delle bombe e lontani brontolii di esplosioni. Fu allora che i tedeschi li incolonnarono e iniziarono una marcia che durò diversi giorni, senza mangiare e con poca acqua. Toni notò che i carcerieri restavano indietro nella colonna e poi, uno alla volta sparivano; ci fu un fuggi fuggi generale, la colonna si dissolse e Toni e altri due si rifugiarono in un pagliaio. Passarono tre tedeschi che avevano più paura di loro; poi una jeep americana li caricò: era il primo aprile 1945.
Toni è ritornato a casa in treno passando dalla Svizzera e ricorda che i poliziotti che li scortavano, li chiusero dall'esterno nei vagoni perché non scendessero in Svizzera. Da Como a Verona in treno, poi in corriera fino a Pordenone e Maniago, da lì a piedi fino a Colle, dove abitava uno dei suoi fratelli che lo accompagnò fino al re dei sassi attraversando a piedi il Meduna in piena notte.
Nel 1949 la famiglia si trasferisce di nuovo a Tauriano, mezzadri dei Ceconi. (Ora azienda agricola "BOK") Toni sposa la signorina Lidia Cominotto e hanno un figlio: Raffaele. Inizia la ripresa e una nuova vita, Toni mette a frutto la sua esperienza di norcino, lavora per diverse aziende: Lovison, Coletti, Leonillo e per ultimo la Medio Tagliamento. Per diversi anni ha fatto il norcino anche nelle famiglie, lavorando il sabato e la domenica, apprezzato per il suo sapere e per il suo modo di lavorare, conosceva i gusti dei suoi amici clienti: meno aglio, più sale, non cannella.